e allora camminavamo alle porte dell'autunno, io nel mio cappotto verde largo e sottile, che scendeva fino ai polpacci, lui nella sua giacca di velluto a coste larghe, marrone scuro con l'interno in montone. Camminavamo per ansare a casa attraverso il parco *** ed eravamo convinti che la felicità fosse un valore a cui poter rinunciare.

Parlavamo poco e mai profondamente.

Mi piaceva guardare il modo in cui i suoi capelli biondicci carezzavano le sue orecchie. Ogni tanto portava delle noccioline e ci fermavamo a nutrire gli scoiattoli.
Ogni tanto, specie nelle giornate più fresche, dicevo "andiamo a prendere il gelato" e così allungavamo oltre piazza dell'***, e raggiungevamo la minuscola gelateria in una via trasversa con i gusti di frutta più buoni della città. Poi tornando indietro ci sedevamo sui gradoni della piazza ed io pestavo forte i piedi per scacciare i piccioni che si avvicinavano.

Non ho mai saputo cosa gli piacesse di me, cosa cercasse dal nostro rapporti. Non ne parlammo mai e io stessa non ero sicura dei miei motivi. Ma mi piace pensare che lui amasse il silenzio di quei giorni e le poche parole, pesate ma leggere.

Spesso per salutarmi mi metteva la mano sulla testa e mi scompigliava i capelli e io arricciavo il naso con finto fastidio. In quel gesto insignificante di saluto era racchiuso il nostro affetto.
Forse siamo stati l'uno per l'altra la persona che al quale si è voluto bene nel modo più genuino, senza mistificazioni o strambe elucubrazioni della mente.
Le cose tra furono semplici, nel loro inizio e nella loro fine.
27 Sep 2025 at 14:55

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