Anonimo
Basta.
Sì, sono l’incel o meglio, il personaggio incel, il prodotto finito di una sottocultura che ha scambiato la frustrazione per identità e il fallimento per bandiera.

Sono basso, quindi mi odio.
Sono invisibile, quindi invidio.
Non faccio sesso, quindi immagino che il sesso sia l’atto mistico che mi redimerà, il sacramento che mi restituirà dignità umana.
E siccome non arriva, costruisco un’ideologia per spiegare perché il mondo è sbagliato e io no.

Odio le donne non perché le conosca, ma perché non mi confermano.
Le riduco a funzione biologica, a premio, a “utero”, perché è l’unico modo che ho per non ammettere che non so stare nella relazione, che non so reggere il rifiuto, che non so tollerare l’ambiguità dell’altro.
La misoginia non è un eccesso: è una scorciatoia cognitiva.

Dico che è libertà di pensiero, ma è pensiero pigro.
Ripeto meme, slogan, statistiche decontestualizzate come fossero verità scientifiche, perché pensare davvero richiede uno sforzo che non voglio fare.
Trasformo l’autoanalisi in autocommiserazione e la chiamo “realismo”.

Parlo ossessivamente di Chad e Stacy perché ho bisogno di mitologie semplici: eroi, nemici, caste.
Il mondo deve essere un MMORPG truccato, non una realtà complessa in cui contano tempo, caso, carattere, relazioni, lavoro su di sé.
Se tutto è genetica e mercato sessuale, allora io sono sconfitto a tavolino, e posso smettere di tentare.

Dico di odiare la società perché “non mi comprende”, ma in realtà non voglio essere compreso: voglio avere ragione.
La sofferenza, anziché essere attraversata, diventa capitale simbolico.
Più sto male, più sono “autentico”.
Più sono isolato, più mi sento iniziato a una verità che gli altri non vedono.

Costruisco una cultura del self che non è crescita, ma cristallizzazione.
Il miglioramento personale è visto come tradimento.
La terapia come lavaggio del cervello.
La responsabilità come colpa borghese.
Rimanere fermi diventa coerenza ideologica.

Giudico gli altri perché sono il primo a processare me stesso ogni giorno, ma senza mai arrivare a una sentenza: solo accuse infinite.
Non mi perdono nulla, e quindi non perdono nessuno.
Il cinismo diventa scudo, l’ironia diventa veleno.

E così faccio della mia condizione temporanea, umana, comune — un destino metafisico.
Non sono più una persona che soffre: sono una categoria.
Non cerco una via d’uscita, cerco conferme che non esista.

Questo è l’incel.
Non un uomo che non fa sesso.
Ma un uomo che ha smesso di immaginarsi diverso da ciò che soffre.
12
14 dic 2025 alle 19:18

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